La guerra dei termostati è reale. In ogni ufficio c’è chi si porta la giacca a luglio e chi apre le finestre a gennaio.
Ma la domanda vera è: esiste davvero una temperatura oggettivamente migliore per lavorare bene? O è tutta una questione di preferenze personali?
La scienza ha cercato di rispondere a questa domanda per vent’anni. E quello che ha scoperto è sorprendente: due risposte completamente opposte, entrambe supportate da dati solidi.
La comunità scientifica divisa: quando la ricerca porta a conclusioni opposte
Per oltre due decenni, ricercatori di tutto il mondo hanno studiato la relazione tra temperatura degli uffici e produttività. Quello che rende questo caso particolare è che non hanno trovato un consenso, ma due posizioni contrapposte.
Da una parte, studi che dimostrano l’esistenza di una temperatura ottimale misurabile, con correlazioni forti tra gradi Celsius e performance.
Dall’altra, ricerche più recenti che mostrano come la temperatura assoluta conti molto meno della percezione individuale, e che cercare un numero universale sia probabilmente inutile.
Entrambe le posizioni hanno logica, dati e pubblicazioni peer-reviewed alle spalle. Vediamole nel dettaglio.
Temperatura ottimale in ufficio
Se la temperatura influisce davvero sulla produttività, dovrebbe essere possibile misurarlo. Dovremmo trovare temperature dove le persone lavorano meglio e temperature dove lavorano peggio.
Lo studio Cornell del 2004: il primo esperimento controllato
Il professor Alan Hedge della Cornell University ha condotto il primo esperimento significativo alla sede della Insurance Office of America a Orlando, Florida. Ha monitorato nove lavoratrici per un mese, misurando la temperatura ogni 15 minuti e registrando velocità ed errori di digitazione.
I risultati erano netti: quando la temperatura passava da 20°C a 25°C, gli errori di battitura diminuivano del 44% e l’output aumentava del 150%. Le lavoratrici digitavano per il 100% del tempo a 25°C, contro il 54% del tempo a 20°C.
Hedge ha calcolato che temperature troppo basse potrebbero aumentare i costi orari del lavoro del 10%. La spiegazione: quando fa freddo, il corpo usa energia per riscaldarsi invece di concentrarsi.
Questo studio però aveva limiti evidenti: solo 9 persone, tutte donne, tutte nello stesso ufficio in Florida, tutte che facevano lo stesso tipo di lavoro.
La meta-analisi del 2006: la ricerca di un pattern generale
Serviva conferma su scala più ampia. Nel 2006 arriva una meta-analisi pubblicata da Olli Seppänen e colleghi del Lawrence Berkeley National Laboratory. Hanno analizzato 24 studi diversi condotti in vari paesi.
La loro analisi ha individuato una curva: la performance aumenta con la temperatura fino a circa 21-22°C, resta stabile fino a 23-24°C, poi inizia a diminuire. Il picco si colloca intorno ai 22°C. A 30°C, la performance sarebbe solo al 91% del massimo.
La logica fisiologica è solida: temperature estreme obbligano il corpo a sprecare energia per mantenere la temperatura corporea. Troppo freddo significa meno sangue al cervello, tensione muscolare, distrazione. Troppo caldo significa stress, difficoltà di concentrazione.
Conclusione di questa linea di ricerca: esiste un range ottimale misurabile, ed è tra 21 e 24 gradi Celsius.
Per oltre un decennio, questo è stato considerato il consenso scientifico.
La temperatura ideale in ufficio non esiste, è tutta una questione soggettiva
Se la scienza aveva trovato la risposta nel 2006, perché il dibattito è ancora aperto nel 2025?
La meta-analisi del 2021 che ha ribaltato il risultato
Nel 2021 è stata pubblicata una nuova meta-analisi che ha sfidato le indicazioni precedenti. Un gruppo di ricercatori ha raccolto 35 studi – più di quelli analizzati da Seppänen – e ha fatto qualcosa di diverso.
Invece di cercare conferme, hanno testato quanto fossero affidabili i modelli di previsione esistenti. Se davvero la temperatura determina la produttività in modo prevedibile, dovrebbe essere possibile usare questi modelli per fare previsioni accurate.
Il risultato è stato sorprendente: l’accuratezza predittiva era estremamente bassa (R² = 0.05). La temperatura da sola spiega solo il 5% circa delle variazioni di produttività. Il restante 95% dipende da altri fattori.
Lo studio sui 690 edifici: quando tutti si lamentano a tutte le temperature
Come è possibile questa differenza? La risposta sta nella variabilità individuale.
Uno studio ha analizzato 23.500 occupanti in 690 edifici commerciali diversi. Ha trovato lamentele sulla temperatura a praticamente tutti i livelli. Il problema principale non era la temperatura assoluta, ma l’impossibilità di controllarla.
Un altro studio condotto in Giappone ha scoperto che la temperatura oggettiva aveva scarsa correlazione con la performance, mentre la soddisfazione termica personale mostrava una correlazione molto forte (R² = 0.944).
In altre parole: non importava tanto se fossero 20 o 24 gradi. Importava se la persona si sentiva a proprio agio.
Le variabili individuali che cambiano tutto
Perché le differenze sono così grandi?
Genere e metabolismo. Le donne hanno in media un metabolismo basale del 20-32% più basso rispetto agli uomini, traducendosi in una preferenza per temperature 2-3°C più alte. Uno studio del 2023 ha trovato che gli uomini sono più produttivi con sensazione termica leggermente fresca, le donne con sensazione leggermente calda.
Massa corporea. Persone con indice di massa corporea più alto tendono a preferire temperature più basse.
Età. Il metabolismo rallenta con l’età, e adulti di mezza età preferiscono ambienti più caldi.
Acclimatamento. Chi è abituato a climi caldi o freddi mantiene preferenze diverse.
Abbigliamento. Il vestiario può modificare di 4-5°C la temperatura percepita come confortevole.
Conclusione di questa linea di ricerca: cercare una temperatura universale è inutile perché le persone sono troppo diverse tra loro.
Allora chi ha ragione? Probabilmente entrambi
Le due posizioni sembrano contraddirsi, ma in realtà stanno rispondendo a domande diverse.
La prima linea di ricerca ha ragione quando dice che temperature estreme impattano oggettivamente la fisiologia. Esiste un range oltre il quale il corpo fatica: sotto i 18°C o sopra i 28°C, la termoregolazione richiede troppa energia.
La seconda linea di ricerca ha ragione quando dice che all’interno di quel range ragionevole (circa 18-26°C), le differenze individuali contano più della temperatura assoluta. E che la percezione soggettiva di controllo e comfort predice la performance meglio dei gradi misurati.
La domanda quindi cambia: invece di cercare “la temperatura perfetta per tutti”, dovremmo chiederci “come dare a ciascuno il controllo sul proprio comfort termico?”
La soluzione che sta emergendo: il controllo personalizzato della temperatura
La ricerca più recente converge su un approccio diverso: invece di imporre una temperatura unica, dare strumenti per regolare il proprio microclima.
Sedie con controllo termico personale
Testate in uffici open space mostrano aumento del 20% nel comfort e del 35% nella soddisfazione. L’86% degli occupanti usa temperature tra 29 e 39°C – un range molto più ampio degli standard. Il consumo è bassissimo: 0.03 kW contro 1-1.5 kW dei riscaldatori portatili.
Sistemi di condizionamento personalizzato
I sistemi task/ambient conditioning mantengono il comfort a temperature 4-5°C sopra o sotto gli standard. Il 94% dei lavoratori preferisce avere controllo personale. Risparmio energetico: -27% sulla domanda di riscaldamento a gennaio.
Modelli predittivi con intelligenza artificiale
Utilizzano sensori per prevedere le preferenze individuali con accuratezza fino al 78%, adattandosi ai cambiamenti nelle abitudini e considerando fattori fisiologici.
Linee guida pratiche per gli uffici
Se usi sistemi centralizzati e hai bisogno di un riferimento:
- 21-24°C come intervallo di base
- 21-22°C come temperatura di partenza
- 40-60% di umidità relativa
Gli uomini preferiscono mediamente 2-3°C più fresco delle donne
Ma più importante del numero:
- Permettere controllo locale (ventilatori, coperte)
- Creare zone con temperature diverse
- Consentire abbigliamento flessibile
- Ascoltare il feedback
- Investire in personalizzazione quando possibile
Conclusione: forse stavamo facendo la domanda sbagliata
Dopo vent’anni di ricerche, la scienza ci sta dicendo qualcosa di importante: cercare “la” temperatura perfetta valida per tutti potrebbe essere stato l’approccio sbagliato.
Esiste un range ragionevole. Ma al suo interno, quello che conta non è il numero sul termostato: è quanto le persone sentono di avere controllo sul proprio comfort.
Il workplace design che funziona non cerca il numero magico universale. Riconosce che le persone sono diverse e che dare autonomia termica è più efficace di imporre un’unica temperatura a tutti.